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IL NATALE DEL SOLE di Tradizione Solare by Ambrogio 333
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IL NATALE DEL SOLE di Tradizione Solare by Ambrogio 333
Dalla primavera all’estate la Terra si apre nell’universo come un fiore che sboccia.
Le piante si slanciano verso l’alto, il calore si sprigiona dal suolo, l’acqua evapora al cielo, gli occhi degli uomini si volgono alle stelle.
Al culmine dell’Estate, dopo la prima decade d’Agosto, nuove forze si innestano nel ciclo dell’anno, quando appaiono visibili i grandi stormi meteoritici: le stelle cadenti.
Si annuncia allora la rivoluzione dell’anno, che conduce l’uomo alle soglie dell’Equinozio d’Autunno e del Solstizio d’Inverno.
Ai primi di Settembre la Terra si rinfresca, le foglie cadono dagli alberi, la vegetazione si estingue, gli spiriti di natura si ritirano alle radici delle piante.
Comincia a cadere la pioggia, le nubi oscurano le stelle e la stessa luce del Sole, la nebbia avvolge la terra. L’oscurità cade sempre più presto sulle teste degli uomini.
La Terra si chiude in sé stessa, come una rosa che ha perso i suoi petali.
Quando la fredda acqua che cade si arrotonda in neve, si cristallizza in ghiaccio allora il tempo d’inverno pienamente si manifesta: l’uomo è giunto alla soglia sacra del Solstizio d’Inverno.
Posti di fronte alla natura che muore e al progressivo oscurarsi del mondo, bisogna vincere la malinconia dell’autunno: quella sottile depressione dell’anima che insorge quando la luce del Sole non fa più da supporto alle forze del corpo.
Al crepuscolo dell’estate quando sopraggiunge l’età del ferro della tenebra invernale, l’uomo deve imparare a trovare dentro di sé le forze del cosmo, a evocare dentro di sé la luce e il calore.
Quando la natura decade e la terra si spoglia di vita, lo spirito individuale deve affermare la sua energia: ora è possibile pensare più chiaramente, fare progetti per il futuro e perseguirli, perché quando la natura appassisce, allora lo spirito umano completamente desto può affermarsi.
Prima, avvolti dalla dorata luce dell’estate, immersi nella beatitudine del calore, lo spirito umano sognava e si lasciava cullare nel grembo di un universo incantato; ora lo spirito umano si sveglia ed agisce.
Quando la luce del giorno si affievolisce e le temperature diventano più fredde, quando gli alberi perdono le foglie, evocare la luce e il calore che animano il nostro organismo; concentrarsi in sé per fortificare il pensare e il volere.
Agli inizi di Settembre un atmosfera più fresca avvolge l’uomo, l’aria che si inspira quando il Sole entra nella costellazione della Vergine stimola l’intelletto e la forza d’azione.
Giunge il momento di prepararsi ad affrontare la metà dell’anno nel corso della quale la luce e il calore si ritirano dal mondo esterno e risplendono attraverso il pensiero e l’azione dell’uomo nobile.
Quando si avvicina l’inverno l’uomo nobile si concentra su ciò che deve compiere, sugli enigmi che deve sciogliere, su ciò che può imparare, su ciò che deve migliorare dentro di sé e intorno a sé. Punto per punto egli stabilisce il programma della giornata e salvo casi eccezionali puntualmente lo realizza. In tal modo il calore della volontà si accende nell’organismo, questo calore divenuto più intenso diventa luce interiore, luce che illumina il mondo mentre cala la tenebra esteriore.
Mentre l’uomo intensifica la sua azione e dà più energia al suo pensiero, la luce solare dell’inverno penetra nelle profondità della terra e trasmette fin lì le forze che alimentano la vita che si manifesterà nella futura primavera.
Mentre la terra diviene spoglia di vegetazione, la forza vitale si concentra alle radici delle piante, nell’humus della terra. Gli spiriti di natura riposano in pace nel grembo della terra, trattenuti dalla forza di gravità: mentre nel mondo di sopra tutto è freddo e oscurità essi tessono la trama della vita del nuovo anno.
Proprio nel più profondo inverno la Terra assume il volto della Madre che sta per generare la Vita futura. Il volto della Terra ricoperta di neve diventa candido e purissimo: somiglia al volto chiaro, pallido e roseo di una donna che sta per diventare madre. Chi si sofferma a contemplare il volto beato di una donna che sta per partorire scorge in esso l’incanto della Dea Luna.
Chi cammina su un paesaggio innevato sotto la luna piena si accorge come la terra ricoperta di neve assuma essa stessa una purezza lunare, manifesti in sé quelle stesse forze divine – lunari che si legano alla generazione, alla riproduzione delle forme viventi.
Quando poi si cammina su un paesaggio innevato baciato dal Sole meridiano ci si accorge che il fondo di neve e ghiaccio crea sulla terra una sorta di specchio cosmico che riflette i raggi e gli influssi spirituali del Sole.
La donna quando sta per diventare madre acquista una bellezza purissima di tipo lunare.
Anche la terra quando sta per giungere il Sacro Solstizio d’Inverno mostra il suo volto lunare, e la sua superficie ricoperta di ghiaccio si impregna della luce del Sole.
La candida coltre di neve attira i raggi del Sole: questi raggi nei giorni del Solstizio[1] discendono sulla terra: la forza divina del Sole discende nella materia terrestre[2].
Al Solstizio d’Inverno la Terra diventa Madre: la Grande Madre Terra a Natale genera nell’Universo il Fanciullo Solare.
L’immaginazione che si lega al Solstizio d’Inverno: nella volta scura del cosmo, la Dea Madre genera il Fanciullo Solare.
Questa immagine carica delle più sublimi forze spirituali accompagna l’uomo dagli albori della sua incarnazione terrena, quando egli stesso era fanciullo sul grembo della Madre Terra. Come Iside, come Demetra, come la Madonna dei pittori italiani del Trecento, l’immagine della Dea Madre col Fanciullo Solare attraversa i secoli e le religioni.
Questa immagine deve essere intensamente evocata nella interiorità quando si giunge al Solstizio d’Inverno:
La Madre Divina con il capo irradiato da una corona stellare.
Il Fanciullo in braccio alla madre, come un piccolo Sole che splende nell’atmosfera celeste. Il Puer[3] che nasce a Natale è il Sole Invincibile, che scende sulla Terra e si incarna nell’Io degli Uomini: la forza solare agisce nella intelligenza degli uomini, nel loro nobile sentimento, nella forza d’azione.
Quando ai principi di novembre le serate si fanno sempre più fredde e l’aria si purifica perdendo del tutto la sensualità dell’estate l’attenzione interiore può cominciare a rivolgersi alla immagine della Dea Madre col Bambino. L’immagine della Dea Madre col Fanciullo Solare richiama l’uomo ai suoi doveri spirituali e terreni, trasmette a chi la medita le forze più sublimi per affrontare il nuovo anno che nasce dalla oscurità dell’inverno.
Al principio dell’inverno, quando i rigori del clima accendono nell’uomo il desiderio di trovare quiete nel cuore della casa, laddove arde il fuoco della famiglia[4], l’attenzione spirituale si concentra sul sacro mistero della Incarnazione: lo Spirito Solare si incarna nella Terra e agisce attraverso la volontà cosciente degli uomini.
E nell’atmosfera della terra, resa purissima dal bianco splendore della neve, le anime dei nascituri attraversano la porta del solstizio, incarnandosi subito o attendendo il momento propizio per incarnarsi nel corso dell’anno.
Roma e il “Natale solare” della tradizione nordico-aria
Julius Evola
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Ultima modifica di Admin il Mar Dic 21, 2010 6:43 pm - modificato 1 volta.
Roma e il “Natale solare” della tradizione nordico-aria BY Ambrogio333
Roma e il “Natale solare” della tradizione nordico-aria
Julius Evola
( scritto nel 1940, con piccole modifiche mie )
Fra gli altri, a due risultati di non poco momento dovrebbe condurre la conoscenza iniziatica sul piano spirituale: in primo luogo, con un ritorno alle origini, essa dovrebbe riportare alla luce i significati più profondi di tradizioni e di simboli, che si sono oscurati nei corsi dei millenni, sì da non sopravviverne che frammenti sparsi, decaduti in consuetudini e in feste convenzionali. In secondo luogo — e non senza relazione a ciò dovrebbe ridestare la sensibilità per una concezione vivente del mondo e della natura, a limitare il potere di quella razionalistica, profana, scientista e fenomenicista, da cui l’uomo occidentale è stato sedotto ormai da secoli. E, in ordine a questo senso vivente e spirituale delle cose e dei fenomeni, i migliori punti di riferimento possono essere dati soprattutto dalle concezioni «solari» ed eroiche, che le più antiche tradizioni arie ebbero in proprio.
Ben pochi sospettano che le feste di questi giorni, che ancor oggi, nel secolo dei grattacieli, della radio, dei grandi movimenti di folle, si celebrano e nelle cosmopoli così come fra trincee, macchine di guerra e masse combattenti, continuano una tradizione remota, riportandoci ai tempi ove, quasi all’aurora dell’umanità, s’iniziò il moto ascendente della prima civiltà aria; una tradizione, in cui peraltro si espresse meno una particolare credenza degli uomini, che la gran voce delle stesse cose. Volendo qui dir qualcosa in proposito, va anzitutto ricordato un fatto da molti ignorato, vale a dire, che in origine la data del Natale e quella dell’inizio del nuovo anno coincidevano, non essendo questa data arbitraria, ma connessa ad un preciso avvenimento cosmico, al solstizio d’inverno. Il solstizio d’inverno cade, infatti, nel 25 dicembre, che è la data del Natale successivamente conosciuto, ma che nelle origini ha avuto un significato essenzialmente «solare». Ciò appare ancora in Roma antica: la data natalizia in Roma antica era quella del risorgere del Sole, dio invitto — Natalis solis invicti —. Con essa, come giorno del sole nuovo — dies solis novi — nell’epoca imperiale prendeva inizio l’anno nuovo, il nuovo ciclo. Ma questo «natale solare» di Roma del periodo imperiale, a sua volta, rimanda ad una tradizione assai più remota d’origine nordico-aria. Del resto, Sol, la divinità solare appare già fra i dii indigetes, cioè fra le divinità delle origini romane, ricevute da ancor più lontani cicli di civiltà. In realtà, come diremo, la religione solare del periodo imperiale, in larga misura ebbe il significato di una ripresa e quasi di una rinascenza, purtroppo alterata da vari fattori di decomposizione, di un antichissimo retaggio ariano.
Già la preistoria italica preromana è ricca di tracce del detto culto solare: carri solari, dischi radiati, stelle radiate, croci d’ogni tipo, non escluse le croci uncinate incise p. es. in asce arcaiche rinvenute in Piemonte e nella Liguria. Per tal via può constatarsi il passaggio, nell’Italia antichissima, della stessa tradizione, che lasciò fin dall’età della pietra tracce consimili lungo tutti gli itinerari delle grandi migrazioni ano-occidentali e nordico-arie. Simboli, segni, jerogrammi, notazioni calendariche o astrali rudimentali, figurazioni su vasi, armi od ornamenti, enigmatiche disposizioni di pietre rituali o di caverne, poi, più tardi, riti e miti sopravvissuti in civiltà più tarde, se studiati secondo i nuovi punti di vista propri all’indagine spirituale del mondo delle origini, forniscono peraltro testimonianze concordanti e univoche non solo circa la presenza di un culto solare unitario come centro della civiltà delle genti arie primordiali, ma altresì circa la speciale importanza che in esse aveva la data «natalizia», vale a dire quella del solstizio d’inverno, il 25 dicembre.
Ad evitare degli equivoci, sarà però bene ricordare ad una certa classe dei lettori quel che in questa sede abbiamo già avuto occasione di rilevare, vale a dire, che parlando di un culto solare preistorico non si deve per nulla pensare a forme inferiori di una religione «naturalistica»e idolatrica. E’ una fola, che l’antica umanità, e soprattutto quella della grande razza aria, divinificasse superstiziosamente i fenomeni naturali — vero è invece, che l’antichità concepì i fenomeni naturali essenzialmente come simboli sensibili di significati superiori, spirituali — quindi, più o meno come sostegni spontaneamente offerti ai sensi dalla natura per poter presentire questi significati trascendenti. Che le cose fra la parte meno qualificata di un dato popolo antico talvolta possano anche esser andate altrimenti, ciò può esser concesso, ma evidentemente prova così poco quanto il fatto non raro del passare in forma di superstizioni bigotte perfino in alcuni culti cristiani, in certe popolazioni incolte e fanatiche del Sud. Prevenuto così un noto malinteso, il significato simbolico d’espressioni arcaiche arie, come «luce degli uomini», o «luce dei campi» — landa ljòme — date al sole, deve risultare chiaro ,e si può anche comprendere, che lo stesso intero corso del sole nell’anno, con le sue fasi ascendenti e discendenti, si presentasse parimenti nei termini di un grandioso simbolo cosmico. In questa vicenda solare il solstizio d’inverno costituì una specie di punto critico, vissuto secondo una particolare drammaticità nel periodo in cui le stirpi arie originarie ancora non avevano lasciate regioni, nelle quali era sopravvenuto il clima artico e l’incubo di una lunga notte. In tali condizioni, il punto del solstizio d’inverno — il più basso dell’eclittica — apparve come quello in cui la « luce della vita » sembrava estinguersi, tramontare, sprofondarsi nella terra desolata e gelata o nelle acque o fra le cupe selve, da cui però ecco che subito di nuovo si rialza a risplendere di nuovo chiarore.
Qui sorge una vita nuova, si pone un nuovo inizio, si apre un nuovo ciclo. La «luce della vita», si riaccende. Sorge o nasce dalle acque l’«eroe solare». Di là dall’oscurità e dal gelo mortale viene vissuta una rinascita, una liberazione. Il simbolico albero del mondo e della vita si anima di nuova forza. E’ in relazione a tutti questi significati che già in tempi preistorici anteriori di millenni all’èra volgare una quantità di riti e di feste sacre andarono a celebrate la data del 25 dicembre, come data di nascita o rinascita, nel mondo così come nell’uomo, della forza «solare». Poco si sa che lo stesso tradizionale albero natalizio, ancora in uso in molti paesi e in parte anche in Italia, ma nella forma di una faccenda da bambini o, al massimo, da buone famiglie borghesi, è un’eco residuale proprio di quell’antichissima, severa tradizione aria e nordico-aria. Un tale albero, ricavato da un «sempre verde», semper virens, cioè da pianta che non muore nell’inverno, pino od abete, riproduce l’arcaico albero della vita o del mondo, che al solstizio d’inverno s’illumina di nuova luce, cosa espressa appunto dalle candelette che lo adornano e che vengono accese in quella data. E i «doni», di cui quell’albero è carico – oggi, semplici regali per bambini — raffiguravano effettivamente il simbolico «dono di vita» proprio alla forza solare che nasce o rinasce. Ma il momento in cui il semper virens, la pianta che non muore, si rinnova e si illumina è, nel simbolismo primordiale, anche quello in cui, come si è detto, l’“eroe solare” sorge dalle acque allo stesso modo che, secondo un rito continuatosi fino al Medioevo ghibellino dopo aver avuto una parte importante nelle leggende relative ad Alessandro Magno, l’albero cosmico è anche un albero «solare» avente un’intima relazione col cosiddetto «albero dell’impero» — arbor solis, arbor imperii.
Ciò ci induce a considerare un altro aspetto assai interessante delle tradizioni in parola, per il quale vogliamo particolarmente riferirci all’antica romanità. Il mithracismo. o culto di Mithra, come è noto, è la tarda forma assunta dall’antica religione ario-iranica (mazdea), in una formulazione particolarmente adatta per una mentalità guerriera. Diffusosi questo culto nella Romanità, sotto Aureliano la data del «natale solare o solstizio d’inverno», il 25 dicembre, si identificò a quella della celebrazione del Natalis Invicti, cioè della nascita di Mithra considerato come un eroe «solare».
Circa il mithracismo a Roma, come si è accennato, sarebbe assai superficiale, se non addirittura grossolano, parlare sic et sirnpliciter di «importazioni» o «influenze orientali»: l’Oriente di quel tempo fu una cosa assai complessa, nella quale figuravano elementi molto eterogenei— ma fra di essi, indubbiamente, anche parti importanti e incorrotte del più antico retaggio spirituale delle genti arie e indoeuropee. Nei riguardi della relazione che fu stabilita fra Mithra e il «natale solare» romano, un noto studioso ebbe dunque a rilevare assai giustamente, che con questo non si venne ad un’alterazione, ma piuttosto ad un rinnovamento del calendario romano secondo quel suo antico aspetto astronomico e cosmico, che esso aveva avuto ai tempi primi di Romolo e di Numa e che conferiva alle feste il significato di grandi simboli nella coincidenza delle date di esse con grandi epoche della vita del mondo.
Dopo di che, è importante esaminare l’attributo di invictus-aniketos — dato a Mithra — all’eroe solare — e alla stessa forza solare nella nuova concezione romana. E’ un attributo « trionfale ». Nelle originarie tradizioni ario-iraniche e affini esso è l’attributo di ogni natura celeste e, eminentemente, del sole, in quanto luce che vince le tenebre, forza luminosa urànica su cui mai quelle della notte e della buia terra prevarranno. Ma, a Roma, noi vediamo che lo stesso epiteto invictus diviene titolo imperiale, cesareo, e noi sappiamo che mithracismo, più che esser culto di una divinità astratta, voleva «indurre » per così dire — la stessa qualità di Mithra negli iniziati, per mezzo di una certa trasformazione della loro natura. E’ in ciò evidente la tendenza a comprendere anche in modo simbolico e analogico l’attributo «solare», sì da poter farlo valere per l’uomo e, propriamente, a controsegnare il tipo e l’ideale di una superiore umanità —per non dire addirittura di una «superumanità». Come il sole risorge, perennemente vittorioso sulle tenebre, così pure, in una perenne vittoria interiore sulla natura mortale e istintiva si compie un essere, che una mistica virtù rende, in via normale, eminentemente atto alla funzione di re, di capo, di duce. E’ così che in Mithra, l’“eroe solare“, fu venerato a Roma un fautor imperii; è così che si stabilisce un’intima relazione del simbolismo solare con le idee di regalità e di impero, nella loro più alta forma. Siffatta relazione ebbe particolare risalto nelle tradizioni eroiche delle antiche genti arie, e noi, in questa stessa sede, ne abbiamo già parlato trattando della dottrina mistica della «gloria». Non volendo ripeter, dunque, cose già dette, ci limiteremo a ricordare la presenza degli stessi significati nell’antica Roma. La victoria Caesaris, cioè la mistica forza trionfale che, nel simbolo di una statuetta, dall’un Cesare veniva trasmessa all’altro, riflette esattamente le più antiche tradizioni ario-iraniche circa la regalità e il cosiddetto hvarenò: poiché, come già dicemmo nell’articolo ora ricordato, l’hvarenò valse come una misteriosa forza «solare» di invincibilità, e di «gloria», che investe i duci, fa di essi qualcosa di più che semplici uomini e li testimonia appunto con la loro vittoria.
Un’antica effige romana di Sol raffigura questo dio simbolico con la destra levata nel gesto «pontificale» di protezione e con la sinistra che regge una sfera, simbolo del dominio universale. In un’altra immagine si ravvisa però lo stesso dio che trasmette il globo all’imperatore, presso ad iscrizioni, le quali riferiscono appunto alla «solarità» la stabilità e l’imperium di Roma: Sol conservator orbis, Sol dominus romani imperii. Un altro medaglione particolarmente interessante reca nel retto l’imagine laureata dell’imperatore — con la testa, cioè, cinta del semper virens, della fronda imperitura: a tergo si ha il dio solare con la sfera, ma in più, vicino, una croce uncinata (che noi vediamo dunque presente anche in Roma antica) e la scritta: soli invicto comiti cioè: al dio solare, compagno invincibile. Ancora un’imagine conservata nel Museo Capitolino — ci mostra l’associazione del simbolo di Sol sanctissimus con l’Aquila, con l’animale fatidico di Roma, che si pensava fosse anche quello, da cui lo spirito trasumanato degli imperatori morti veniva simbolicamente tratto dal rogo funerario in cielo. Testimonianze analoghe potrebbero esser facilmente moltiplicate. Non è azzardato dire, che esse ci parlano di un vero e proprio «mandato divino solare» quale anima viva di quella funzione imperiale cesarea, che, per noi, nel mondo antico, fu una specie di ultimo guizzo di significati arcaici a poco a poco perduti.
Nella antica settimana romana il «giorno del sole» era il «giorno del signore» — e questo significato è sopravvissuto nei tempi successivi col termine di domenica, da dominus, signore, così come nella designazione germanica sontag o inglese sunday per lo stesso giorno di «festa» si e conservato letteralmente il significato di «giorno del sole» e, con esso, il riflesso dell’antica concezione solare ariana. Qualcosa della sapienza dei primordi sembra dunque essersi conservato, in un qualche modo, nella stessa festa attuale del Natale, per quanto la celebrazione dell’anno nuovo si sia da essa dissociata. Il simbolismo della luce vi si mantiene — si ricordino p. es. le parole del prologo del Vangelo di Giovanni: erat lux vera, quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum -così come l’attributo di «gloria», che appare poco più sotto. In tracce monumentali del primo periodo romanica lo stesso simbolo della croce si unisce a quello solare.
Nella tradizione aria e nordico-aria e nella stessa Roma lo stesso tema ebbe una portata non soltanto religiosa e mistica, ma sacra, eroica e cosmica ad un tempo. Fu la tradizione di una gente, alla quale la stessa natura, la stessa gran voce delle cose, parlò in quella data di un mistero di resurrezione, della nascita o rinascita di un principio non solo di «luce» e di nuova vita, ma anche di imperium, nel senso più alto e augusto del termine.
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Julius Evola
( scritto nel 1940, con piccole modifiche mie )
Fra gli altri, a due risultati di non poco momento dovrebbe condurre la conoscenza iniziatica sul piano spirituale: in primo luogo, con un ritorno alle origini, essa dovrebbe riportare alla luce i significati più profondi di tradizioni e di simboli, che si sono oscurati nei corsi dei millenni, sì da non sopravviverne che frammenti sparsi, decaduti in consuetudini e in feste convenzionali. In secondo luogo — e non senza relazione a ciò dovrebbe ridestare la sensibilità per una concezione vivente del mondo e della natura, a limitare il potere di quella razionalistica, profana, scientista e fenomenicista, da cui l’uomo occidentale è stato sedotto ormai da secoli. E, in ordine a questo senso vivente e spirituale delle cose e dei fenomeni, i migliori punti di riferimento possono essere dati soprattutto dalle concezioni «solari» ed eroiche, che le più antiche tradizioni arie ebbero in proprio.
Ben pochi sospettano che le feste di questi giorni, che ancor oggi, nel secolo dei grattacieli, della radio, dei grandi movimenti di folle, si celebrano e nelle cosmopoli così come fra trincee, macchine di guerra e masse combattenti, continuano una tradizione remota, riportandoci ai tempi ove, quasi all’aurora dell’umanità, s’iniziò il moto ascendente della prima civiltà aria; una tradizione, in cui peraltro si espresse meno una particolare credenza degli uomini, che la gran voce delle stesse cose. Volendo qui dir qualcosa in proposito, va anzitutto ricordato un fatto da molti ignorato, vale a dire, che in origine la data del Natale e quella dell’inizio del nuovo anno coincidevano, non essendo questa data arbitraria, ma connessa ad un preciso avvenimento cosmico, al solstizio d’inverno. Il solstizio d’inverno cade, infatti, nel 25 dicembre, che è la data del Natale successivamente conosciuto, ma che nelle origini ha avuto un significato essenzialmente «solare». Ciò appare ancora in Roma antica: la data natalizia in Roma antica era quella del risorgere del Sole, dio invitto — Natalis solis invicti —. Con essa, come giorno del sole nuovo — dies solis novi — nell’epoca imperiale prendeva inizio l’anno nuovo, il nuovo ciclo. Ma questo «natale solare» di Roma del periodo imperiale, a sua volta, rimanda ad una tradizione assai più remota d’origine nordico-aria. Del resto, Sol, la divinità solare appare già fra i dii indigetes, cioè fra le divinità delle origini romane, ricevute da ancor più lontani cicli di civiltà. In realtà, come diremo, la religione solare del periodo imperiale, in larga misura ebbe il significato di una ripresa e quasi di una rinascenza, purtroppo alterata da vari fattori di decomposizione, di un antichissimo retaggio ariano.
Già la preistoria italica preromana è ricca di tracce del detto culto solare: carri solari, dischi radiati, stelle radiate, croci d’ogni tipo, non escluse le croci uncinate incise p. es. in asce arcaiche rinvenute in Piemonte e nella Liguria. Per tal via può constatarsi il passaggio, nell’Italia antichissima, della stessa tradizione, che lasciò fin dall’età della pietra tracce consimili lungo tutti gli itinerari delle grandi migrazioni ano-occidentali e nordico-arie. Simboli, segni, jerogrammi, notazioni calendariche o astrali rudimentali, figurazioni su vasi, armi od ornamenti, enigmatiche disposizioni di pietre rituali o di caverne, poi, più tardi, riti e miti sopravvissuti in civiltà più tarde, se studiati secondo i nuovi punti di vista propri all’indagine spirituale del mondo delle origini, forniscono peraltro testimonianze concordanti e univoche non solo circa la presenza di un culto solare unitario come centro della civiltà delle genti arie primordiali, ma altresì circa la speciale importanza che in esse aveva la data «natalizia», vale a dire quella del solstizio d’inverno, il 25 dicembre.
Ad evitare degli equivoci, sarà però bene ricordare ad una certa classe dei lettori quel che in questa sede abbiamo già avuto occasione di rilevare, vale a dire, che parlando di un culto solare preistorico non si deve per nulla pensare a forme inferiori di una religione «naturalistica»e idolatrica. E’ una fola, che l’antica umanità, e soprattutto quella della grande razza aria, divinificasse superstiziosamente i fenomeni naturali — vero è invece, che l’antichità concepì i fenomeni naturali essenzialmente come simboli sensibili di significati superiori, spirituali — quindi, più o meno come sostegni spontaneamente offerti ai sensi dalla natura per poter presentire questi significati trascendenti. Che le cose fra la parte meno qualificata di un dato popolo antico talvolta possano anche esser andate altrimenti, ciò può esser concesso, ma evidentemente prova così poco quanto il fatto non raro del passare in forma di superstizioni bigotte perfino in alcuni culti cristiani, in certe popolazioni incolte e fanatiche del Sud. Prevenuto così un noto malinteso, il significato simbolico d’espressioni arcaiche arie, come «luce degli uomini», o «luce dei campi» — landa ljòme — date al sole, deve risultare chiaro ,e si può anche comprendere, che lo stesso intero corso del sole nell’anno, con le sue fasi ascendenti e discendenti, si presentasse parimenti nei termini di un grandioso simbolo cosmico. In questa vicenda solare il solstizio d’inverno costituì una specie di punto critico, vissuto secondo una particolare drammaticità nel periodo in cui le stirpi arie originarie ancora non avevano lasciate regioni, nelle quali era sopravvenuto il clima artico e l’incubo di una lunga notte. In tali condizioni, il punto del solstizio d’inverno — il più basso dell’eclittica — apparve come quello in cui la « luce della vita » sembrava estinguersi, tramontare, sprofondarsi nella terra desolata e gelata o nelle acque o fra le cupe selve, da cui però ecco che subito di nuovo si rialza a risplendere di nuovo chiarore.
Qui sorge una vita nuova, si pone un nuovo inizio, si apre un nuovo ciclo. La «luce della vita», si riaccende. Sorge o nasce dalle acque l’«eroe solare». Di là dall’oscurità e dal gelo mortale viene vissuta una rinascita, una liberazione. Il simbolico albero del mondo e della vita si anima di nuova forza. E’ in relazione a tutti questi significati che già in tempi preistorici anteriori di millenni all’èra volgare una quantità di riti e di feste sacre andarono a celebrate la data del 25 dicembre, come data di nascita o rinascita, nel mondo così come nell’uomo, della forza «solare». Poco si sa che lo stesso tradizionale albero natalizio, ancora in uso in molti paesi e in parte anche in Italia, ma nella forma di una faccenda da bambini o, al massimo, da buone famiglie borghesi, è un’eco residuale proprio di quell’antichissima, severa tradizione aria e nordico-aria. Un tale albero, ricavato da un «sempre verde», semper virens, cioè da pianta che non muore nell’inverno, pino od abete, riproduce l’arcaico albero della vita o del mondo, che al solstizio d’inverno s’illumina di nuova luce, cosa espressa appunto dalle candelette che lo adornano e che vengono accese in quella data. E i «doni», di cui quell’albero è carico – oggi, semplici regali per bambini — raffiguravano effettivamente il simbolico «dono di vita» proprio alla forza solare che nasce o rinasce. Ma il momento in cui il semper virens, la pianta che non muore, si rinnova e si illumina è, nel simbolismo primordiale, anche quello in cui, come si è detto, l’“eroe solare” sorge dalle acque allo stesso modo che, secondo un rito continuatosi fino al Medioevo ghibellino dopo aver avuto una parte importante nelle leggende relative ad Alessandro Magno, l’albero cosmico è anche un albero «solare» avente un’intima relazione col cosiddetto «albero dell’impero» — arbor solis, arbor imperii.
Ciò ci induce a considerare un altro aspetto assai interessante delle tradizioni in parola, per il quale vogliamo particolarmente riferirci all’antica romanità. Il mithracismo. o culto di Mithra, come è noto, è la tarda forma assunta dall’antica religione ario-iranica (mazdea), in una formulazione particolarmente adatta per una mentalità guerriera. Diffusosi questo culto nella Romanità, sotto Aureliano la data del «natale solare o solstizio d’inverno», il 25 dicembre, si identificò a quella della celebrazione del Natalis Invicti, cioè della nascita di Mithra considerato come un eroe «solare».
Circa il mithracismo a Roma, come si è accennato, sarebbe assai superficiale, se non addirittura grossolano, parlare sic et sirnpliciter di «importazioni» o «influenze orientali»: l’Oriente di quel tempo fu una cosa assai complessa, nella quale figuravano elementi molto eterogenei— ma fra di essi, indubbiamente, anche parti importanti e incorrotte del più antico retaggio spirituale delle genti arie e indoeuropee. Nei riguardi della relazione che fu stabilita fra Mithra e il «natale solare» romano, un noto studioso ebbe dunque a rilevare assai giustamente, che con questo non si venne ad un’alterazione, ma piuttosto ad un rinnovamento del calendario romano secondo quel suo antico aspetto astronomico e cosmico, che esso aveva avuto ai tempi primi di Romolo e di Numa e che conferiva alle feste il significato di grandi simboli nella coincidenza delle date di esse con grandi epoche della vita del mondo.
Dopo di che, è importante esaminare l’attributo di invictus-aniketos — dato a Mithra — all’eroe solare — e alla stessa forza solare nella nuova concezione romana. E’ un attributo « trionfale ». Nelle originarie tradizioni ario-iraniche e affini esso è l’attributo di ogni natura celeste e, eminentemente, del sole, in quanto luce che vince le tenebre, forza luminosa urànica su cui mai quelle della notte e della buia terra prevarranno. Ma, a Roma, noi vediamo che lo stesso epiteto invictus diviene titolo imperiale, cesareo, e noi sappiamo che mithracismo, più che esser culto di una divinità astratta, voleva «indurre » per così dire — la stessa qualità di Mithra negli iniziati, per mezzo di una certa trasformazione della loro natura. E’ in ciò evidente la tendenza a comprendere anche in modo simbolico e analogico l’attributo «solare», sì da poter farlo valere per l’uomo e, propriamente, a controsegnare il tipo e l’ideale di una superiore umanità —per non dire addirittura di una «superumanità». Come il sole risorge, perennemente vittorioso sulle tenebre, così pure, in una perenne vittoria interiore sulla natura mortale e istintiva si compie un essere, che una mistica virtù rende, in via normale, eminentemente atto alla funzione di re, di capo, di duce. E’ così che in Mithra, l’“eroe solare“, fu venerato a Roma un fautor imperii; è così che si stabilisce un’intima relazione del simbolismo solare con le idee di regalità e di impero, nella loro più alta forma. Siffatta relazione ebbe particolare risalto nelle tradizioni eroiche delle antiche genti arie, e noi, in questa stessa sede, ne abbiamo già parlato trattando della dottrina mistica della «gloria». Non volendo ripeter, dunque, cose già dette, ci limiteremo a ricordare la presenza degli stessi significati nell’antica Roma. La victoria Caesaris, cioè la mistica forza trionfale che, nel simbolo di una statuetta, dall’un Cesare veniva trasmessa all’altro, riflette esattamente le più antiche tradizioni ario-iraniche circa la regalità e il cosiddetto hvarenò: poiché, come già dicemmo nell’articolo ora ricordato, l’hvarenò valse come una misteriosa forza «solare» di invincibilità, e di «gloria», che investe i duci, fa di essi qualcosa di più che semplici uomini e li testimonia appunto con la loro vittoria.
Un’antica effige romana di Sol raffigura questo dio simbolico con la destra levata nel gesto «pontificale» di protezione e con la sinistra che regge una sfera, simbolo del dominio universale. In un’altra immagine si ravvisa però lo stesso dio che trasmette il globo all’imperatore, presso ad iscrizioni, le quali riferiscono appunto alla «solarità» la stabilità e l’imperium di Roma: Sol conservator orbis, Sol dominus romani imperii. Un altro medaglione particolarmente interessante reca nel retto l’imagine laureata dell’imperatore — con la testa, cioè, cinta del semper virens, della fronda imperitura: a tergo si ha il dio solare con la sfera, ma in più, vicino, una croce uncinata (che noi vediamo dunque presente anche in Roma antica) e la scritta: soli invicto comiti cioè: al dio solare, compagno invincibile. Ancora un’imagine conservata nel Museo Capitolino — ci mostra l’associazione del simbolo di Sol sanctissimus con l’Aquila, con l’animale fatidico di Roma, che si pensava fosse anche quello, da cui lo spirito trasumanato degli imperatori morti veniva simbolicamente tratto dal rogo funerario in cielo. Testimonianze analoghe potrebbero esser facilmente moltiplicate. Non è azzardato dire, che esse ci parlano di un vero e proprio «mandato divino solare» quale anima viva di quella funzione imperiale cesarea, che, per noi, nel mondo antico, fu una specie di ultimo guizzo di significati arcaici a poco a poco perduti.
Nella antica settimana romana il «giorno del sole» era il «giorno del signore» — e questo significato è sopravvissuto nei tempi successivi col termine di domenica, da dominus, signore, così come nella designazione germanica sontag o inglese sunday per lo stesso giorno di «festa» si e conservato letteralmente il significato di «giorno del sole» e, con esso, il riflesso dell’antica concezione solare ariana. Qualcosa della sapienza dei primordi sembra dunque essersi conservato, in un qualche modo, nella stessa festa attuale del Natale, per quanto la celebrazione dell’anno nuovo si sia da essa dissociata. Il simbolismo della luce vi si mantiene — si ricordino p. es. le parole del prologo del Vangelo di Giovanni: erat lux vera, quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum -così come l’attributo di «gloria», che appare poco più sotto. In tracce monumentali del primo periodo romanica lo stesso simbolo della croce si unisce a quello solare.
Nella tradizione aria e nordico-aria e nella stessa Roma lo stesso tema ebbe una portata non soltanto religiosa e mistica, ma sacra, eroica e cosmica ad un tempo. Fu la tradizione di una gente, alla quale la stessa natura, la stessa gran voce delle cose, parlò in quella data di un mistero di resurrezione, della nascita o rinascita di un principio non solo di «luce» e di nuova vita, ma anche di imperium, nel senso più alto e augusto del termine.
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